Perché continuiamo a cadere nell’ingegneria sociale?

Perché continuiamo a cadere nell’ingegneria sociale?

Anche quando utilizziamo filtri e strumenti di sicurezza, l’ingegneria sociale continua a funzionare per un motivo semplice: non attacca prima la tecnologia, ma il modo in cui le persone prendono decisioni.

In molti incidenti, il punto di ingresso non è una vulnerabilità tecnica. È un’azione umana: cliccare, fornire credenziali, inoltrare informazioni o approvare una richiesta. Questo non accade per cattive intenzioni. Accade perché, nella quotidianità lavorativa, prendiamo decisioni usando scorciatoie mentali che ci aiutano ad andare più veloci, ma che possono anche portarci fuori strada. Queste scorciatoie sono i cosiddetti bias cognitivi.

Comprenderli cambia completamente l’approccio. Non si tratta solo di informare o ricordare buone pratiche. Si tratta di allenare decisioni reali.

I bias più sfruttati dall’ingegneria sociale

Autorità.
Tendiamo a fidarci di più quando un messaggio sembra provenire da una figura autorevole o ufficiale: Direzione, HR, Finance, un fornitore critico o un ente istituzionale. Gli attaccanti imitano firme credibili, toni aziendali e messaggi che richiedono un’azione immediata. Se i programmi non allenano questi scenari, è difficile sviluppare un criterio solido di verifica prima di agire.

Urgenza.
Quando percepiamo fretta, analizziamo meno e decidiamo in automatico. Messaggi come “il tuo account sarà bloccato entro 24 ore” o “deve essere completato entro fine giornata” sono progettati per ridurre il pensiero critico. Questo bias si rafforza nei momenti di carico di lavoro elevato o di continue interruzioni, condizioni molto comuni in qualsiasi organizzazione.

Ricompensa e scarsità.
Se un messaggio promette un beneficio o un accesso limitato, il cervello tende a concentrarsi più sulla ricompensa che sul rischio. È per questo che funzionano email su bonus, premi, accessi esclusivi o opportunità che “scadono oggi”.

Conferma.
Quando un messaggio è coerente con ciò che già ci aspettiamo—un progetto in corso, un fornitore reale, un audit imminente—il livello di sospetto diminuisce. Questo spiega perché gli attacchi mirati, basati su informazioni pubbliche o contesti familiari, risultano spesso più efficaci.

Ottimismo irrealistico.
Talvolta emerge l’idea “a noi non succederà”. Questa eccessiva fiducia riduce l’attenzione ai segnali deboli e diminuisce anche la probabilità di segnalare qualcosa di sospetto.

Quando i programmi di awareness non aiutano (e a volte peggiorano la situazione)

Esistono pratiche diffuse che generano una sensazione di conformità, ma non cambiano i comportamenti reali. Corsi isolati una volta all’anno informano, ma non allenano decisioni sotto pressione. Simulazioni uniche o troppo prevedibili producono metriche poco rappresentative. Se a questo si aggiungono falsi positivi generati dagli strumenti aziendali, i dati si riempiono di rumore e l’analisi perde valore. Senza feedback immediato, inoltre, è difficile capire quale bias si sia attivato e come correggerlo.

Per ridurre il rischio umano, informare non basta. Serve allenare, misurare correttamente e fornire feedback.

Cosa serve a una strategia moderna per fare davvero la differenza

Simulazioni precise e realistiche.
Una campagna annuale non è sufficiente. Serve varietà di temi, tecniche di persuasione e contesti per osservare come i bias agiscono nella quotidianità. Approcci statici creano risultati illusori e non permettono di individuare schemi reali di comportamento.

Misurazioni affidabili.
Se non filtriamo interazioni non umane o falsi positivi, finiamo per prendere decisioni basate sul rumore. Misurare bene è importante quanto simulare bene, perché da quei dati dipendono priorità e azioni di miglioramento.

Training adattivo e feedback immediato.
Non tutti cadono per le stesse ragioni. Alcuni sono più vulnerabili all’urgenza, altri all’autorità. Un approccio efficace adatta il training in base alle performance reali, fornisce contenuti brevi nel momento giusto e restituisce feedback immediato dopo un’azione rischiosa. In questo modo, l’awareness diventa un processo continuo, non un adempimento annuale.

Il reporting come parte della difesa

Oltre a riconoscere i segnali, è fondamentale facilitare il comportamento sicuro successivo: segnalare ciò che è sospetto. Quando il reporting è semplice, l’attrito diminuisce, la partecipazione aumenta e la risposta del team di sicurezza è più rapida. Il feedback immediato aiuta a consolidare l’abitudine.

Conclusione

Continuiamo a cadere nell’ingegneria sociale perché gli attacchi sono progettati per sfruttare bias umani normali e profondamente radicati. La soluzione non è solo ricordare buone pratiche, ma modellare decisioni sotto pressione, misurare comportamenti reali con dati affidabili e adattare la strategia sulla base delle evidenze.

In un contesto in cui gli attaccanti comprendono sempre meglio come decidiamo, anche la nostra difesa deve evolvere allo stesso ritmo.

Fonti

  • Verizon, Data Breach Investigations Report 2024

  • ENISA, Threat Landscape 2024

  • Microsoft, Digital Defense Report 2024

  • IBM, Cost of a Data Breach Report 2024

Paula Espinosa

Paula Espinosa es especialista en marketing de contenidos y concienciación en ciberseguridad, con más de 6 años de experiencia en IT y B2B. Trabaja en estrategias de SEO, generación de leads y comunicación digital para empresas tecnológicas y de ciberseguridad.

Lascia un commento